27 Luglio 2024
Home » Economia » ArcelorMittal e Ilva, la storia di un disastro economico mentre nessuno parla di salute e alternative per Taranto
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ArcelorMittal abbandona

E siamo alle solite… come in tutte le altre precedenti occasioni, anche stavolta che ArcelorMittal abbandona Taranto e l’Ilva c’è ansia per il futuro economico e occupazionale ma per Taranto nessuno si preoccupa di parlare (e agire!) di alternative occupazionali sostenibili.

ILVA, DA OLTRE 50 ANNI A POCHI PASSI DAI QUARTIERI TAMBURI E PAOLO VI

L’Ilva si è insediata a Taranto nel 1964, a ridosso del purtroppo noto quartiere Tamburi, e fu inaugurata il 27 novembre 1964 sotto il nome di Italsider. Già, proprio a ridosso del quartiere Tamburi, nato ben prima del siderurgico (alla fine dell’800!). E’ bene ricordarlo perché alcuni “furbetti” sono andati in televisione in questi anni facendo il contrario. Purtroppo in molti ci hanno anche creduto non conoscendo la storia del siderurgico e del quartiere Tamburi di Taranto.

Poco dopo, il 18 giugno 1966 nacque il quartiere Paolo VI, chiamato così proprio perché Papa Paolo VI si recò all’interno dello stabilimento Italsider nel giorno dell’inaugurazione, per la benedizione. In questo quartiere, insieme al Tamburi, ci fu un boom di vendite di case e appartamenti perché i dipendenti Italsider sceglievano di andare a vivere lì per stare il più possibile vicini al posto di lavoro.

LE PROMESSE E LE ASPETTATIVE

Quando il siderurgico si insediò a Taranto il Governo puntò tutto sulla produzione dell’acciaio per lo sviluppo dell’economia italiana. E lo fece non preoccupandosi minimamente dell’impatto ambientale che avrebbe avuto su una intera città ignara del pericolo e di quanto avrebbe (e ha) pagato negli anni successivi.

I tarantini infatti gioirono di questa grande opportunità offerta alla città (così pensarono) tanto che entrare a lavorare all’Italsider era il sogno di tantissimi. Anche le amministrazioni locali hanno colpevolmente accettato che Taranto in pratica abbandonasse il suo simbolo di città dei Due Mari per diventare la città dell’acciaio. L’euforia coinvolse infatti anche gli amministratori dell’epoca, nessuno dei quali chiese quali potessero essere i risvolti di quel “drastico” cambio di rotta dell’economia ionica fondata quasi interamente sulla produzione dell’acciaio.

L’AZIENDA DEI SOGNI… POI DIVENTATI INCUBI!

Molti giovani, già dopo aver terminato le scuole medie, ma anche moltissimi appena diplomati trovarono posto di lavoro (poi diventato a tempo indeterminato) all’interno dello stabilimento di produzione di acciaio più grande d’Europa. Purtroppo alcuni di loro ci sono anche morti all’interno, alcuni sono morti di tumore anche dopo essere andati in pensione. Altri hanno perso genitori e parenti che ci hanno lavorato all’interno, altri sono morti e altri ancora hanno perso familiari ammalati di tumore per il solo fatto di essersi ritrovati a vivere a pochi chilometri dalle emissioni nocive del siderurgico (non solo al quartiere Tamburi ma anche nel borgo e in città vecchia).

LA PRIVATIZZAZIONE FINO AI GIORNI D’OGGI

Nel 1995 l’Italsider diventò Ilva Spa, praticamente un “regalo” del Governo al gruppo Riva costato 1.650 miliardi di lire. Il 26 luglio 2012 la magistratura accusò i nuovi proprietari di «disastro ambientale» ordinando il sequestro senza facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo.

Per salvaguardare lo stabilimento e l’occupazione, lo Stato avviò così la procedura di commissariamento dell’azienda indicendo una gara internazionale per una sua riassegnazione. A novembre 2018 l’ex Ilva passò quindi ad AM InvestCo, cordata formata da ArcelorMittal e Marcegaglia per avviare le trattative di acquisizione. Il resto è ciò che è accaduto lunedì 4 novembre con la comunicazione di AM InvestCo di recesso del contratto. Una fuga da probabili nuove responsabilità o una sorta di ricatto al Governo affinché ripristini lo scudo penale contro i reati ambientali?

L’INCONTRO TRA IL PREMIER CONTE E I VERTICI AZIENDALI

La notizia di ieri che Arcelor Mittal lascia Taranto ha fatto scatenare dibattiti in tutta Italia. La possibilità di chiusura del siderurgico ha fatto scattare l’allarme nazionale pensando al crollo occupazionale che ne deriverebbe nell’immediato, al forte calo del Pil (- 3,5 miliardi di euro), al crollo dell’export estero (-2,2 miliardi di euro), ai consumi delle famiglie (- 1,4 miliardi di euro a loro disposizione) e dell’economia nazionale dovuti alla perdita di produzione di acciaio. Fonte dei numeri: modello Multiregionale I-O (Irpet) – modello bi-regionale (Svimez).

Tra martedì 5 novembre e mercoledì 6 le parti (Governo e azienda) s’incontreranno per cercare una soluzione. I politici si lanciano accuse a vicenda mentre i sindacati accusano l’azienda di ricattare il Governo affinché il famoso scudo penale contro i reati ambientali venga ripristinato per consentire all’azienda di operare e produrre con maggiore libertà.

ArcelorMittal abbandona: TUTTI PREOCCUPATI PER ECONOMIA E LAVORO MA NESSUNO PARLA DI SALUTE E ALTERNATIVE SOSTENIBILI PER TARANTO

Come al solito, tutti sono preoccupati per l’economia nazionale e per l’occupazione al sud che subirebbe un calo nettissimo per la perdita di circa 10 mila lavoratori… ma nessuno pensa ancora una volta a dare a Taranto la possibilità di un futuro sostenibile che garantisca seriamente occupazione e salute.

Sembrano parole buttate al vento ma per 10 mila lavoratori che perdono il posto di lavoro ce ne sono 100 mila a Taranto che il lavoro non lo trovano, non lo hanno mai trovato e non lo troveranno mai fino a quando la politica nazionale per Taranto sarà fondata solo sulla produzione dell’acciaio. Coloro che parlano di 10 mila lavoratori che perderebbero il posto di lavoro dovrebbero sapere che basterebbe bonificare la città con un piano vero e risolutivo diverso da quello messo in atto recentemente che è inutile se la fonte inquinante è sempre lì ad inquinare.

UN FUTURO ALTERNATIVO è POSSIBILE

Se ArcelorMittal abbandona provocando l’eventuale chiusura dell’ex Ilva, tutti gli operai ex Ilva potrebbero essere tutti impiegati nelle opere di bonifiche di un intero territorio. Attività di “pulizia” approfondita di chilometri e chilometri di zone per le quali servono persone, mezzi e anni di lavoro. I lavoratori più “anziani” invece potrebbero essere mandati in pensione senza far perdere loro nemmeno un centesimo.

Tra l’altro l’Europa dice NO agli aiuti di Stato destinati alle imprese siderurgiche ma è favorevole a destinare dei fondi per tutti i lavoratori che perdono il proprio posto di lavoro.

Contestualmente lo Stato potrebbe predisporre e mettere in atto investimenti e agevolazioni per consentire a Taranto di (ri)vivere di mare, di commercio, di turismo e di tante altre attività annesse e connesse che nascerebbero a catena. In questo rientrerebbero il rilancio del porto di Taranto, l’ampliamento ulteriore (come in parte si sta già facendo in questi giorni) e la fruibilità per i voli civili dell’aeroporto Arlotta di Grottaglie (distante circa 20 km da Taranto).

IL TEMA SALUTE

Tra i progetti per Taranto potrebbe rientrare anche un grande centro sanitario per la cura di malattie gravi, non dei semplici reparti ma dei centri specializzati dove si recherebbero anche ammalati di altre città d’Italia. Sono solo delle semplici idee che non sta a noi proporre e mettere in pratica ma a chi dovrebbe prendere seriamente a cuore il futuro di una città colpevolmente abbandonata da troppi anni.

AGGIORNAMENTO DEL 7 NOVEMBRE 2019

Il Premier Conte, al termine di un incontro con i vertici di Mittal durato ore, si è presentato ieri, in tarda serata, in conferenza stampa annunciando la conferma di Mittal di andarsene da Taranto. Il punto non è tanto la necessità di reintrodurre lo scudo penale contro i reati ambientali ma l’impossibilità, secondo i franco-indiani, di portare avanti la produzione nelle attuali condizioni.

L’unica via, secondo Mittal, sarebbe quella di lasciare a casa 5000 operai considerati in esubero dall’azienda. Proposta che il Governo non ha ovviamente accettato. Seguiranno altri incontri e aggiornamenti in questa intricata vicenda che vedrà adesso le reazioni di sindacati e operai che hanno già programmato di andare a protestare a Roma.

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