27 Luglio 2024
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ilva ambiente svenduto

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Ilva Ambiente svenduto | Processo rinviato ma i tarantini dove sono ?

Ilva Ambiente svenduto è lo storico processo che dovrebbe a Taranto fare giustizia per i presunti danni ambientali e sanitari procurati dall’Ilva a persone e cose. Avrebbe dovuto cominciare due giorni fa, il 20 ottobre 2015, il processo di primo grado Ilva Ambiente Svenduto, ma svolte le operazioni di rito, dopo oltre 3 ore, il giudice della Corte d’Assise di Taranto Michele Petrangelo lo ha rinviato a dicembre per un difetto di notifica all’imputato, il politico Nicola Fratoianni e per l’omessa notifica ad alcune delle parti civili.

L’indifferenza dei tarantini nei confronti del processo Ilva Ambiente Svenduto

Al fermento che si respirava all’interno dell’aula di Tribunale, rispondeva all’esterno la solita assoluta incredibile indifferenza dei tarantini. Una città messa in ginocchio da oltre 50 anni di inquinamento ma anche altrettanti anni di menefreghismo e accettazione passiva (interessata o meno) dei tarantini di tutto ciò che accadeva e che è accaduto fino a oggi (vedasi appunto il loro comportamento di disinteresse per il processo Ilva Ambiente Svenduto. Pare che alla maggior parte di essi poco interessi la questione, come se non toccasse loro direttamente. Troppo facile attribuire le colpe del disastro della città soltanto all’Ilva e ai politici locali e statali. I tarantini in 50 anni hanno creduto (e ciò che è peggio, molti ci credono ancora) di poter vivere (e bene) solo grazie al posto fisso all’Ilva (e a poche altre realtà come il porto, la marina, l’ENI e l’arsenale). Per entrarci dovevano avere anche qualche conoscenza importante o un parente, un amico che conosceva uno che poteva contare qualcosa.. i soliti giri che esistono anche in altre realtà lavorative private e pubbliche. Per l’Ilva il discorso era un altro: i cittadini e coloro che ci lavoravano (e che ci lavorano) spesso non erano nemmeno tanto consapevoli che quei fumi potessero fare così male e quei pochi (o molti) che sapevano, tacevano oppure continuavano (e continuano) a conviverci (dentro e fuori dallo stabilimento) all’insegna del pensiero “Se non lavoriamo all’Ilva dove dobbiamo andare a lavorare e come dobbiamo mangiare?”.

Targa rione tamburi
Targa affissa su uno stabile di via De Vincentis al rione Tamburi di Taranto

Il colloquio con un cittadino del quartiere Tamburi

Parlando con un cittadino che, ci dice, ha vissuto per oltre 30 anni nel quartiere Tamburi, uno dei quartieri più inquinati non di Taranto ma del mondo. Quest’uomo viveva a suo tempo in via Ugo Foscolo e spesso era abituato a giocare a calcio, come spesso si fa da ragazzi, per strada. Molte volte uno degli spazi individuati per giocare era proprio un “campetto” fatto di terra e qualche albero in via De Vincentis, una delle tante vie recentemente allagate dal violento nubifragio dei giorni scorsi che ha messo in ginocchio l’intera città di Taranto. Ricorda l’uomo una cosa che oggi fa rabbrividire e fa capire molto della mancata coscienza del problema inquinamento che esiste oggi in misura più grande ma esisteva anche negli anni ’80. L’uomo dice che giocavano a calcio mentre a pochissimi passi da loro l’AFO 5, l’altoforno più grande d’Europa, sputava i propri “fumi” dannosissimi e loro lo guardavano con indifferenza come se fosse normalissimo e come se ormai quel panorama fosse parte integrante della loro città. Nessuno si preoccupava se quei fumi potessero far male anche se, già da allora, le abitazioni e il cimitero della zona presentavano un aspetto di colore rossastro (ma in origine rossi non erano!). «Molti di noi – ricorda l’uomo – erano figli di operai Ilva, magari alcuni di questi anche sindacalisti che operavano all’interno dello stabilimento, e non ci passava nemmeno per la testa che l’Ilva potesse inquinare, anzi, tanti di noi erano entrati a lavorare lì proprio grazie al fatto che nostro padre era riuscito a trovare una chiave, chiamiamola così, per far entrare anche noi, una volta cresciuti. Perché quello era il posto fisso a Taranto, quello era il posto ambito e chi entrava a lavorare lì, aveva messo il futuro in cassaforte ed era pure motivo di vanto nei confronti di chi non era riuscito a entrarci. Ricordo tanti amici con cui giocavo: Marco, Amedeo, Alfredo, Andrea, Enzo, Christian. Tutti ragazzi che poi non ho più visto, chi è scappato altrove, qualcuno è anche deceduto giovanissimo a causa di malattie o malori improvvis». Nel siderurgico di gente ne è morta anche allora, ce lo racconta quest’uomo il cui padre ha visto morire davanti ai propri occhi i colleghi di lavoro precipitati da decine di metri di altezza e morti anche in altre circostanze assurde. Sicché il “gioco valeva la candela”.. i “rischi del mestiere” si pensava. In realtà non era così perché, esclusi pochi casi che rappresentano delle eccezioni, molti altri erano invece il risultato del mancato rispetto e/o mancata adozione delle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro. Ma l’Ilva, all’epoca Italsider, aveva creato attorno a sè un clima “familiare”. Aveva instaurato rapporti di “buon vicinato” con le istituzioni locali, con i cittadini e anche con la chiesa. Chi non ricorda gli alberi donati al comune di Taranto e impiantati nei terreni delle zone limitrofe e meno limitrofe, chi non ricorda l’immagine all’interno della chiesa Gesù Divin Lavoratore del quartiere Tamburi che ritrae Gesù mentre guarda cittadini, marinai e lavoratori tra le ciminiere dell’Ilva come a benedire tutti in un contesto paradisiaco.. Ilva compresa. E non entriamo in fatti che poi sono stati accertati dalla Magistratura nei giorni nostri, molti anni dopo e dopo anni di indagini e denunce delle associazioni ambientaliste e semplici cittadini che hanno portato oggi ad “Ambiente svenduto” che ha portato in tribunale 47 imputati (3 persone giuridiche e 44 persone fisiche), 1000 parti civili, 100 avvocati e 200 testimoni. Un processo, “Ambiente svenduto”, che è seguito con molta attenzione e interesse da città che vivono lo stesso dramma, a prescindere dalle proporzioni, un processo cui anche questi altri territori potranno ispirarsi. A Taranto però il problema resta sempre quello, la poca sensibilità dei cittadini di fronte a un problema enorme che li riguarda da sempre e la paura di reagire tanto da disinteressarsi completamente pure dello stesso “Ambiente svenduto”. Si aggiungano a questo anche l’insufficiente comunione d’intenti (per vari motivi, presumibilmente e recentemente anche politici) da parte di alcune delle persone e delle associazioni il cui operato è stato importantissimo e determinante per sollevare il polverone e per ultimo (ma non meno importante) l’avvicinarsi delle elezioni amministrative (manca poco più di un anno e mezzo) i cui risultati vedranno il nuovo sindaco di Taranto succedere all’attuale e spesso contestato Ippazio Stefàno.

 

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